L’ADHD NON È UNA MALATTIA INVENTATA

Di seguito riportiamo un articolo pubblicato sul sito di AIFA ONLUS, associazione di genitori con bambini Adhd (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), in cui vengono riportati i risultati di una importante ricerca che permette di classificare tale disturbo come una vera malattia. Buona lettura!

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Per saperne di più sull’ADHD

 

L’ADHD non è una malattia inventata. È la conclusione di uno studio pubblicato su The Lancet Psychiatry da un team del Radboud University Medical Center di Nijmegen, in Olanda, guidato dalla dott.ssa Martine Hoogman.
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è spesso associato all’idea che in realtà non si tratti di una vera malattia, ma di una condizione determinata da errori in fase educativa da parte dei genitori o semplicemente da una vivacità più intensa del normale nel bambino.
Lo studio olandese dimostra invece con esami obiettivi lo sviluppo ritardato di cinque regioni del cervello, evidenziando una differenza biologica e oggettiva che consente di considerare l’ADHD una patologia cerebrale a tutti gli effetti.
Gli scienziati olandesi hanno utilizzato la risonanza cerebrale per analizzare 3.242 persone, 1.713 delle quali affette da ADHD e altre 1.529 sane, tutte di età compresa fra 4 e 63 anni.
Lo studio ha evidenziato nei soggetti del primo gruppo la presenza di un volume cerebrale ridotto nel nucleo caudato, nel putamen, nel nucleo accumbens, nell’amigdala e nell’ippocampo.
«Queste differenze sono esigue, nel range di pochi punti percentuali, per cui le dimensioni senza precedenti del nostro studio sono state fondamentali per aiutare a identificarle. Simili differenze di volume del cervello sono visibili anche in altri disturbi psichiatrici, in particolare nel disturbo depressivo maggiore», affermano gli autori.
L’amigdala è associata all’ADHD per il suo ruolo di gestione delle emozioni, mentre il nucleo accumbens per quello svolto nel processo di ricompensa. L’ippocampo ha un suo ruolo nella malattia per via del suo coinvolgimento in ambito emotivo e motivazionale.
Lo studio rivela anche che il volume cerebrale risultava inferiore sia nei pazienti che avevano assunto farmaci come il Ritalin, sia che non l’avessero fatto, il che elimina l’ipotesi di una causa farmacologica alla base della differenza.
«Speriamo che questo aiuterà a ridurre lo stigma che l’ADHD sia solo un’etichetta per i bambini difficili o causata da genitorialità incompetente», spiega Hoogman, che conclude: «Decisamente non ci troviamo di fronte a questa situazione, e speriamo che questo lavoro contribuisca a una migliore comprensione del disturbo».

Andrea Piccoli